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GEOPOLITICA DELL’ORTODOSSIA

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di Claudio Mutti*

 

 

Il titolo di questo numero di “Eurasia” è stato palesemente suggerito da quello di un’omonima opera di François Thual1 che, prendendo in esame il caso esemplare del cristianesimo ortodosso, mostra come il fattore religioso, lungi dal ridursi a dato secondario o sovrastrutturale, possa fornire ad un soggetto politico un patrimonio di miti e di simboli, fino a costituire un motore determinante delle sue azioni e delle sue scelte. Certo, agli studiosi di geopolitica si offre la possibilità di sottoporre ad un’indagine analoga anche altre grandi religioni che, dopo aver occupato spazi diversi del continente eurasiatico, hanno fondato ciascuna una propria civiltà, ciascuna ispirando le dinamiche del proprio spazio rispettivo; e in effetti non mancano, nella letteratura di settore, gli studi concernenti le implicazioni geopolitiche delle varie forme religiose2.

Per quanto riguarda in modo specifico l’Ortodossia, è stato detto che a renderla particolarmente idonea all’approccio geopolitico è il suo caratteristico rapporto con la terra. “In nessun’altra area come in quella di tradizione ortodossa scrive uno studioso il problema della terra intesa come imperskaja zemljà (‘terra imperiale’), sacra per definizione, riveste tanta importanza. (…) il pensiero imperiale-territoriale, di matrice religiosa, è centrale nella concezione ortodossa (…) nella cultura politica di stampo bizantino-ortodosso la terra assume un carattere sacrale, che ne determina non solo l’inviolabilità, ma anche la santità dell’espansione: la Svjataja Russkaja Zemljà (‘Santa Terra Russa’) è per esempio speculare alla Srpska Sveta Zemlja (‘Santa Terra Serba’)”3.

La geopolitica dell’Ortodossia è quindi intimamente collegata ad una concezione che, formatasi in epoca bizantina, è stata trasmessa alle entità statuali che hanno ricevuto l’eredità di Bisanzio.

Tra gli elementi costitutivi di tale concezione, risulta centrale l’idea della translatio imperii, ossia del trasferimento della funzione imperiale da Roma a Bisanzio e da Bisanzio a Mosca. Tale translatio ebbe il suo inizio storico nel 324, quando Costantino fondò una seconda capitale nella parte orientale dello Stato romano, cosicché nel 381 il patriarca bizantino poteva affermare di essere secondo soltanto a Roma, dal momento che “Costantinopoli è la nuova Roma”4. Mille anni dopo, nel 1393, quando l’“eresia latina” si era ormai definitivamente installata a Roma e Bisanzio veniva minacciata da ogni parte, il patriarca costantinopolitano Antonio IV rivolse le sue aspettative verso la Russia, ricordando al “gran principe” moscovita Vasilij I che i cristiani dovevano avere una sola Chiesa e un solo basileus ton Romaion. Ancora un secolo e, nel 1492, quarant’anni dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, il metropolita Zosimo presentò la candidatura di Mosca: “Costantino il Grande fondò la nuova Roma, san Vladimiro battezzò la Russia, ora Ivan III è il nuovo Costantino della nuova Costantinopoli, Mosca”5. Una ventina d’anni più tardi, il monaco Filoteo di Pskov formulò in una lettera allo zar Ivan III la teoria di Mosca quale terza Roma: “Tutti gl’imperi cristiani arrivarono alla loro fine e sono stati riuniti nell’unico impero del nostro sovrano, secondo i libri profetici, cioè nell’impero russo. Due Rome sono cadute, ma la terza è già in piedi e non ci sarà una quarta”6.

A tradurre in termini geopolitici l’ideale della Santa Russia ortodossa e bizantina saranno, paradossalmente, i rappresentanti del dispotismo illuminato russo. Pietro il Grande (1682-1721) e Caterina II (1762-1796), per i quali il richiamo ai valori religiosi e alla difesa dei cristiani ortodossi costituivano una fonte di legittimazione delle loro conquiste, assoggettarono sì la Chiesa, ma ne recuperarono il messaggio ideologico. “A partire dall’inizio del XVIII secolo – scrive Thual – la geopolitica estera russa è in una fase di espansione continua; la gestione quotidiana di questo spazio imperiale e la diplomazia russa si ispireranno a due principi: la difesa dell’Ortodossia, una specie di panortodossismo che avrà un ruolo più importante del panslavismo per quanto concerne la politica estera russa. Se la nascita dei temi ideologici risale al periodo precedente a quello dei Romanov, sarà proprio questa dinastia a riattualizzarli ed a farli passare dallo stadio di mito, di suggestione collettiva, allo stadio di schema d’azione e di canovaccio per il comportamento politico”7. Caterina II, in particolare, concepì l’idea di far sorgere nella penisola balcanica una sorta di nuovo impero bizantino, alla testa del quale si sarebbe insediato un membro della famiglia imperiale russa. Tale disegno non si realizzò, ma col trattato di Küçük Kaynarca del 1774 Caterina ottenne che da quel momento in poi lo Zar di Russia parlasse a nome di tutti gli ortodossi sudditi della Sublime Porta. Da allora la fede ortodossa continuò a nutrire gli obiettivi specifici della geopolitica russa: la riconquista di Costantinopoli e delle vie di comunicazione tra il Mar Nero e il Mediterraneo, la trasformazione dei paesi ortodossi dei Balcani in Stati satelliti della Russia, il recupero dell’Armenia e dei Luoghi Santi in Palestina.

A questa visione geopolitica, incentrata sul rapporto conflittuale tra Russia e Turchia, Konstantin Leont’ev (1831-1891), il “Nietzsche russo”8, contrappone una tesi ben diversa: le due potenze eurasiatiche, in quanto espressioni di due civiltà minacciate entrambe dalla sovversione liberale e democratica proveniente da Occidente, dovrebbero trovare i termini di un’intesa e costituire una barriera di spirito tradizionale9.

Leont’ev rimase vox clamantis in deserto; ma in un certo modo  la sua tesi è stata confermata, sia pure da un punto di vista diametralmente opposto, dal teorico dello “scontro delle civiltà”, il quale fissa la frontiera della civiltà occidentale “là dove finisce il cristianesimo occidentale e iniziano l’islamismo e l’ortodossia”10. Il simbolismo geografico è eloquente: alla Mezzaluna islamica, che dai Balcani giunge al Caucaso attraverso l’Anatolia, si unisce la Croce ortodossa, l’asse della quale, radicato in Palestina, attraversa l’isola di Cipro e giunge a Costantinopoli, per dirigersi poi verso la Romania, dove si congiungono i due bracci: quello serbo e quello russo11.

 

 

* Direttore di “Eurasia”.

 

 

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  1. F. Thual, Géopolitique de l’Orthodoxie, Institut de Relations Internationales et Stratégiques, Paris 1993; ed. it. Geopolitica dell’Ortodossia, Saggio introduttivo di A. Vitale, Società Editrice Barbarossa, Milano 1995. Dello stesso autore, in italiano: Il mondo fatto a pezzi, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2008.
  2. Per limitarci all’attività di François Thual, possiamo citare Géopolitique du chiisme, Arléa, Paris 1995 e Géopolitique du Bouddhisme, Editions des Syrtes, Brest 2002.
  3. A. Vitale, Saggio introduttivo a: F. Thual, Geopolitica dell’Ortodossia, cit., pp. 8-9.
  4. R. Lee Wolff, The Three Romes: The Migration of an Ideology and the Making of an Autocrat, in “Daedalus”, primavera 1959, p. 294.
  5. In Pamjatniki drevnerusskogo kanoničeskago prava, I, St-Peterburg 1908, pp. 795 ss.
  6. V. Malinin, Starec Eleazarova monastyria Filofei i ego poslanija, Kiev 1901, suppl. pp. 54.
  7. F. Thual, Geopolitica dell’Ortodossia, cit., p. 49.
  8. N. Berdjaev, Konstantin Leont’ev. Očerk iz istorii russkoj religioznoj mysli, YMCA Press, Paris 1926, pp. 37-39.
  9. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1987. Per una presentazione del pensiero di Leont’ev si veda A. Ferrari, La terza Roma, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1986.
  10. S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, p. 230.
  11. 11. Cfr. O. Clément, La Chiesa ortodossa, in: Storia delle religioni a cura di Henri-Charles Puech, 10. Il cristianesimo medievale, Universale Laterza, Bari 1977, p. 165.

 

 

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